Riportiamo, di seguito, l’articolo del Direttore di Federcasse, Sergio Gatti, pubblicato nella rubrica Bisbetica della rivista Credito Cooperativo di gennaio 2017.
Sergio Gatti
sgatti@federcasse.bcc.it
La palla al piede
I crediti deteriorati lordi delle banche italiane pesavano in valore nominale, a giugno 2016, 320 miliardi di euro, di cui 190 sono sofferenze. I deteriorati netti erano 146 miliardi mentre le sofferenze nette circa 80 miliardi. Negli anni della grande crisi di inizio millennio, dal 2007 al 2014, secondo uno studio della Banca d’Italia, le banche locali hanno concesso quantità di credito maggiori rispetto agli altri intermediari, ad un costo mediamente più basso e con un tasso di ingresso di sofferenze (crediti difficilmente esigibili) inferiore a quello fatto registrare dai concorrenti. BCC meno rischiose.
Nelle BCC i crediti deteriorati (sofferenze, inadempienze probabili, scaduti) incidono complessivamente per il 20,6% degli impieghi lordi (la media dell’industria bancaria è al 18,0%, settembre 2016). Ma se si guarda alla composizione degli impieghi delle BCC emergono due evidenze:
1. nei segmenti tipici della clientela che accede al credito delle BCC (famiglie, imprese, soggetti del non profit) la percentuale di sofferenze che si registra è, in media nazionale, più bassa rispetto al resto dell’industria bancaria. In particolare, nel segmento delle famiglie, le sofferenze sugli impieghi è del 5,9% per le BCC rispetto al 7,2% per le altre banche; per le imprese del 17,3% (18,2%); per le microimprese fino a 5 addetti del 11,3% (17,6%) e per le imprese sociali e del nonprofit del 2,5% rispetto al 6,5%.
2. nel resto dell’industria una componente rilevante di impieghi viene erogata alla pubblica amministrazione, prenditore di credito pressoché inesistente per le BCC. A parità di composizione (quindi rispetto a controparti simili, famiglie e imprese) le BCC mostrano una rischiosità inferiore alla media.
Coperture e garanzie.
La percentuale di crediti in sofferenza assistiti da garanzia reale per le BCC è del 60% (rispetto al 47,3% dell’industria bancaria) mentre il 21,4% è assistito da garanzie personali (contro il 19,7%). Per le esposizioni deteriorate, le percentuali sono del 64,5% (contro il 51,1%) e del 18,6% (16,2%). Le percentuali di copertura sono per le BCC a giugno 2016: sulle sofferenze del 56,1% (contro il 58,8% dell’industria bancaria); sulle inadempienze probabili del 27,6% (27,4% dell’industria).
Vivacchiare o governare?
Non è il caso di puntare sul fattore-tempo. Occorre darsi una strategia, altrimenti si rischia di assuefarsi al problema. Come si è finito per fare col debito pubblico: ci condiziona continuamente ma non lo si affronta di petto. Liberare le banche italiane da questo fardello è urgente. Deprime la redditività e, per le BCC, rinsecchisce i processi di rafforzamento patrimoniale, considerata la loro peculiarissima struttura giuridica.
Quali strategie?
Tre le principali strategie disponibili per l’industria bancaria (che possono anche essere complementari):
1. la cessione a soggetti terzi.
È la forma più veloce ma anche quella che comporta maggiori e immediati costi economici. La stessa Banca d’Italia non perde l’occasione di ricordarlo. La logica che guida i fondi internazionali che acquistano in blocco si basa su quattro elementi: il recupero atteso, il tempo e i costi necessari per farlo, il tasso di rendimento atteso;
2. la gestione in proprio.
È la forma meno onerosa in termini economici immediati, ma più costosa in termini di affievolimento della spinta propulsiva di una banca, di tempo (non è veloce), di assorbimento di energie umane specializzate;
3. il conferimento a strutture comuni o consortili.
Costituirebbe la strada più adeguata, siano esse pubbliche (italiane o europee, ipotesi quest’ultima assai improbabile nonostante la proposta dell’Eba del 31 gennaio e la risoluzione del Parlamento europeo del 15 febbraio scorso) o in joint-venture pubblico-privato. Limiti politici e ostacoli legislativi finora non l’hanno resa possibile. Ma occorre
spingere con forza in questo senso.
Quali fattori economici impattano sulla scelta delle diverse opzioni strategiche?
1. Il valore dei recuperi.
In Italia, negli ultimi dieci anni, è del 43% (su 100 euro prestati finiti in sofferenza, le banche hanno recuperato 43 euro) secondo una recente pubblicazione della Banca d’Italia (Nota di stabilità finanziaria e vigilanza n. 7/2016 “I tassi di recupero delle sofferenze”);
2. il prezzo.
Nella stessa nota si riporta che “i tassi di recupero delle posizioni chiuse mediante cessione sul mercato sono nettamente inferiori a quelli registrati per le posizioni chiuse in via ordinaria (23% contro 47% in media nel periodo considerato)”;
3. la capacità di organizzazione interna delle banche nella gestione dei deteriorati. E quale ruolo giocano i soggetti istituzionali? Il deterioramento della qualità del credito e l’eccessivo stock accumulato di NPL sono stati al centro delle priorità della supervisione bancaria europea nel 2016 e lo saranno anche nel 2017. In questo contesto, la BCE ha posto in consultazione qualche mese fa un documento sulle linee guida sul come far fronte ai crediti deteriorati.
Il dibattito su scala europea ha preso ulteriore slancio il 31 gennaio scorso con la proposta di Andrea Enria, presidente dell’Eba, di istituire un veicolo europeo per la gestione dei deteriorati (con partecipazione pubblica) al fine di superare i fallimenti di mercato che frenano la riduzione degli NPL. Tale operazione, da effettuare nel completo rispetto della direttiva BRR, potrebbe essere compiuta avendo come riferimento non più il prezzo di mercato (depresso da un mercato non efficiente), ma “il valore economico” dei deteriorati (superiore di almeno 100 bp). In sostanza, seppure la BCE spinga per una riduzione rapida (e a costi elevati per le banche) dello stock di esposizioni deteriorate, nelle istituzioni europee sembrano emergere posizioni più articolate che consentono un maggiore spazio per soluzioni meno standardizzate.
L’eco-sistema Italia
La lentezza della giustizia civile rende difficile lo smaltimento degli NPL. Il legislatore è intervenuto più volte negli ultimi due anni: nel 2015 con la riforma delle normative processuale e fallimentare; nel 2016 con ulteriori misure per velocizzare il recupero dei crediti, per rendere più efficienti gli uffici giudiziari, ha introdotto lo schema di garanzia statale per i titoli senior emessi nell’ambito di operazioni di cartolarizzazione di NPL (GACS). È evidente lo sforzo, ma i benefici si distribuiranno nel tempo. Inoltre, il lungo periodo di crisi ha reso comunque complesso il realizzo di garanzie immobiliari, soprattutto di natura industriale. D’altra parte anche il sistema bancario sconta inefficienze e pratiche obsolete nella gestione dell’informazione relativa ai crediti deteriorati (ad es. scarsa informatizzazione e standardizzazione delle informazioni), cosa che riduce il valore di eventuali cessioni.
E le BCC?
Il Credito Cooperativo ha attivato varie leve per la gestione dei crediti deteriorati: le banche di secondo livello hanno effettuato numerose operazioni di cartolarizzazione, BCC Gestione Crediti ha offerto un servizio professionale di gestione e di recupero mentre i Fondi di garanzia hanno acquistato partite in sofferenza nel quadro di operazioni di gestione delle criticità aziendali. Non poche BCC si sono rivolte direttamente a servizi e ad acquirenti terzi. Nonostante ciò lo stock di crediti deteriorati rimane rilevante. Strategie realistiche ed efficaci debbono tenere conto sia della natura “relazionale” delle nostre banche sia della necessità di garantire l’equilibrio tecnico-gestionale. In questa prospettiva, anche sulla base delle evidenze emerse dalle analisi di Banca d’Italia, sembra opportuno restringere il ricorso alla vendita sul mercato solo ai casi in cui i valori di cessione non siano lontani da quelli di libro. Contemporaneamente, poiché la gestione e in particolare il recupero dei crediti deteriorati è una attività che assorbe ampie risorse umane ed organizzative (ed espone la banca alla “cattura” da parte del debitore), sembra ragionevole valutare la gestione esternalizzata presso strutture di categoria.
In questo modo si massimizzano le economie di scala e si mantiene comunque la gestione nell’ambito di metodologie comuni e concordate. Con i nascenti Gruppi bancari cooperativi si arriverà a Policy comuni. Mettere in campo una strategia univoca e condivisa fin da subito consente di guadagnare tempo prezioso.